Intorno al Lago di Nemi

 

A Genzano dalla rotonda in cima a Via Garibaldi scendiamo verso il lago. Dopo circa 1100 m, in corrispondenza di una piccola edicola con una immagine sacra, una curva a gomito sulla destra porta a una stradina stretta e disagevole. Meglio fermare i veicoli ai lati della strada principale e procedere a piedi per 500-550 m. Si arriva a un evidente slargo sulla destra sotto a un albero di fichi, dove una cancelletto mette in comunicazione con l’emissario del Lago di Nemi.


Si tratta di una galleria sotterranea lunga quasi 1700 m scavata 2500 (!) anni fa per regolare il livello del lago.
La porta non è mai chiusa a chiave, e appena si entra un interruttore permette di illuminare le prime decine di metri, sufficienti per un assaggio di esplorazione (ma è sempre meglio portare delle torce).
Le pareti mostrano i segni della lavorazione e stringono uno stretto corridoio in mezzo a cui passa anche una tubazione che porta fuori sulla riva l’acqua di una sorgente interna. Alzando lo sguardo è subito evidente una paratia in pietra che aveva lo scopo di filtrare rami e detriti trascinati dalla corrente.

 

Dove finisce la galleria?
La zona dei Castelli Romani ha origine dal Vulcano Laziale, attivo da più di 500 -600 mila anni fa fino a 7-8 mila anni fa. In verità una debole attività c’è ancora come dimostrano gli sciami sismici e le fuoruscite di gas. Il vulcano ha prodotto numerosi crateri, alcuni dei quali trasformati in laghi: il Lago Albano (di Castel Gandolfo), il Lago di Nemi, il lago prosciugato in epoca recente oggi Vallericcia, dove ancora adesso l’acqua tende a ristagnare. Ci sono perfino campi di riso!
L’emissario passa sotto l’abitato di Genzano e finisce proprio a Vallericcia - nelle vicinanze di una delle aziende che fanno la porchetta - da dove contribuiva ad alimentare il fiume Incastro che sfocia tuttora nelle vicinanze di Torvaianica.
Lo scavo della galleria fu iniziato da entrambe le parti e condotto con sorprendente precisione dagli Aricini (una popolazione latina) facendo incontrare i due tronconi a pochissima distanza l’uno dall’altro. Modifiche e aggiustamenti furono fatti anche in seguito, in epoca romana. Lo scopo dell’emissario era quello di mantenere il livelle delle acque più basso salvaguardando il
Tempio di Diana (vedi dopo) e di irrigare i terreni fertili della Vallericcia.

Tornati sulla strada principale riprendiamo il veicolo e continuiamo in discesa per poco più di mezzo chilometro raggiungendo il Museo delle Navi.
Dentro ci sono reperti e ricostruzioni delle Navi di Caligola, grandi chiatte ancorate vicino alla riva in cui l’imperatore organizzava spettacoli e manifestazioni. Mancano le navi, bruciate nel 1944 dai tedeschi prossimi alla ritirata. Le navi erano state recuperate svuotando il lago negli anni 30 (per farlo fu utilizzato proprio l’emissario).

Dal museo la strada prosegue quasi in piano. Dopo altri 850 m, di lato a una curva, si incontra uno spiazzo asfaltato. Qui parcheggiamo lasciando spazio per fare manovra. Tornati indietro a piedi per pochi metri prendiamo sulla destra un sentiero sconnesso in salita. Fatti circa 200 m a sinistra si apre un più largo tracciato. Lo seguiamo piegando a destra dopo una cinquantina di metri, e proseguiamo fino a incontrare una recinzione (cancello sempre aperto). Entriamo così nell’area del Tempio di Diana.

 

Camminando tra arcate monumentali si arriva ai ruderi di un tempio protetto da una tettoia, in cui si distinguono tracce di affreschi alle pareti e sulle colonne monche. In una sorta di altarino restano i segni di odierni riti satanisti e/o imbecilli.

 

Più avanti sul sentierino altre tettoie riparano ambienti vari. Uno, in particolare, ha una pavimentazione a mosaico ricoperta da teli e ghiaietto (vedere ma NON fare danni e NON esporre alle intemperie e ai balordi). Ancora oltre il passaggio con una azienda agrituristica è chiuso, ma volendo entrare nell’azienda si possono vedere altre antiche strutture.
Il tempio di Diana per i popoli latini era la sede del culto della dea dei boschi, e fu edificato a un livello inferiore a quello della radura in cui probabilmente si svolgeva in precedenza, soggetta alle inondazioni quando ancora non era stato costruito l’emissario.
Il tempio era idealmente connesso al
Tempio di Giove sul Monte Cavo (vedi) centro religioso ma anche politico della Lega Latina e, in seguito, luogo di pellegrinaggio dei Romani.
La leggenda vuole che sacerdote del tempio di Diana fosse il Rex Nemorensis, uno schiavo che nel bosco sacro avesse trovato una fronda (il ramo d’oro) di un arbusto (vischio?) che gli dava il diritto di battersi con il precedente sacerdote e, se lo avesse ucciso, di prendere il suo posto. Naturalmente, in attesa di essere a sua volta ucciso e sostituito.
Il sito presenta segni di incuria, tabelle esplicative scolorite, vegetazione incolta. Tocca accontentarsi.

Tornati al veicolo abbiamo diverse possibilità.
Possiamo tornare a Genzano e proseguire per Nemi, passeggiare per il centro medioevale, affacciarsi ai belvedere sul lago, sedere a un bar e assaggiare le fragole di Nemi.
Dopo (o in alternativa) si può andare verso Monte Cavo.